La compliance. Le nuove frontiere della consulenza aziendale

L’impresa (o Ente) può disinteressarsi del fatto che un proprio dipendente (anche se di limitati poteri decisionali) abbia commesso un reato che di riflesso avvantaggia l’impresa?

La risposta è di segno negativo, poiché fin dal 2001, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 23, l’impresa ne risponde. In gergo si parla di responsabilità “penale” dell’ente o azienda, ma in modo corretto occorre invece riferirsi alla “responsabilità amministrativa (pecuniaria e interdittiva)” dell’impresa.

Per questo motivo l’imprenditore (o l’ente) deve rivedere il proprio modello organizzativo assicurandosi che:

  • sia conforme, nei vari processi produttivi, alle normative di settore;
  • valuti il rischio di violazioni legali, minimizzandone l’eventualità.

Il rischio di possedere modelli inadeguati e inadatti a prevenire determinati illeciti si definisce “rischio di compliance”. E’ oramai acquisito che il “rischio di compliance”, ossia di non conformità alle norme, comporta per le imprese il pericolo di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, in perdite finanziarie rilevanti o danni reputazionali in conseguenza di violazioni di norme imperative ovvero di autoregolamentazione, molte delle quali rientrano nel novero dei reati di cui al d.lgs. 231/2001.

Qui di seguito, mantenendo un approccio schematico e non dottrinale, definiremo l’impatto della responsabilità, configurabili in difetto di compliance, per le imprese, per le associazioni e per gli Enti pubblici o privati.

Compliance: la nuova frontiera della consulenza legale ed amministrativa

C’è un termine anglosassone, “accountability”, che non trova un’esatta traduzione nella nostra lingua, ma interessa sempre di più le imprese ed enti, economici e non, come paradigma della propria regolarità.

Nella complessità di oggi, caratterizzata da un proliferare di norme interne ed europee, regolamenti locali e nazionali e norme tecniche, ogni attività sul campo si confronta col problema della propria conformità alla regola, per evitare ogni tipo di responsabilità.

Il tema è divenuto ancora più stringente con l’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche a fronte di alcuni reati piuttosto frequenti dalle cui conseguenze l’impresa si malleva solo a patto di aver previsto per tempo le giuste contromisure.

Accountability, grossomodo significa fare le cose inforcando le lenti del controllore: organizzarsi come se si fosse costantemente esaminati, concetto che, in sostanza, collima con l’autocontrollo e quindi con la massima “conformità” alle norme, alle prassi organizzative ed alla regola d’arte quando si tratta di produrre beni o servizi. Questa conformità si chiama, mutuando ancora una volta dal dizionario inglese, “compliance”.

In breve, per una credibile “accountability” (dimostrazione di aver concepito le proprie procedure con la massima responsabilità) è necessaria una corretta “compliance”, ovvero una preventiva analisi di conformità dei propri modelli alle regole legali e tecniche vigenti.

Nella complessità del nostro mondo normativo la “compliance” è una attività difficile perché comprende conoscenze multiformi difficilmente abbordabili con le risorse interne all’azienda o all’amministrazione. Privacy, responsabilità amministrativa delle aziende, sicurezza del lavoro, antiriciclaggio, anticorruzione, regole ambientali, correttezza nelle pratiche commerciali, rapporti con gli agenti di commercio ed altro, sono quindi oggi spesso oggetto di consulenza professionale esterna all’organizzazione aziendale. E’ nata così e si sta notevolmente diffondendo la cosiddetta “compliance consulting”. Vedremo nella seconda parte del testo in quali campi.

 

 

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