L’abuso d’ufficio e le nuove frontiere di tipizzazione
Con una recentissima sentenza resa in materia di abuso d’ufficio (n. 442/2021) la Suprema Corte delinea i presupposti di individuazione della fattispecie delittuosa alla luce della modifica dell’art. 323 c.p. a seguito della novella introdotta dal d.l. 76/2020 convertito nella legge n. 120/2020 che ha modificato il reato di abuso d’ufficio sostituendo le parole “di norme di legge o di regolamento” con le parole “di specifiche regole e di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”
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In luogo del generico richiamo della previgente disciplina alla indeterminata violazione di norme di legge, si pretende oggi che la condotta produttiva di responsabilità penale del pubblico funzionario sia connotata, nel concreto svolgimento delle funzioni o dei servizi, dalla violazione di regole cogenti per l’azione amministrativa che per un verso siano fissate dalla legge, non rilevando così i regolamenti o le eventuali fonti subprimarie o secondarie e per altro verso siano specificamente disegnate in termini completi e puntuali.
Di qui, osserva la S.C., il lineare corollario della limitazione di responsabilità penale del funzionario, qualora le regole comportamentali gli consentano di agire in un contesto di discrezionalità amministrativa anche tecnica, ossia quella discrezionalità intesa quale autonoma scelta di merito, effettuata all’esito di una ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici e quelli privati, nell’ottica dell’interesse primario pubblico da perseguire.
Questo semprechè, ovviamente, l’esercizio del potere discrezionale non sfoci in una vera e propria distorsione funzionale rispetto ai fini pubblici (c.d. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità) ravvisabile laddove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito “oppure si sostanzi nell’alternativa modalità della condotta, rimasta penalmente rilevante, dell’inosservanza dell’obbligo di astensione in situazioni di conflitto di interessi”.
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Ciò si riconduce ad un ambito applicativo ben più ristretto della nuova disciplina normativa rispetto quella previgente, sottraendo al giudice penale tanto l’apprezzamento dell’inosservanza di principi generali o di fonti normative di tipo regolamentare o subprimario quanto il sindacato del “mero cattivo uso” della discrezionalità amministrativa.
Quanto poi agli aspetti intertemporali conseguenti a fatti commessi prima dell’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 323 c.p., la S.C. non manca di considerare come non possa porsi in dubbio che si realizzi una parziale abolitio criminis per quanto concerne quei fatti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma qualora realizzati in violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali o astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità.
Con il conseguente corollario, soggiunge la S.C., per cui all’abolizione del reato, i sensi dell’art. 2, comma 2, cod. pen. consegue nei processi in corso il proscioglimento dell’imputato “perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato”
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