La garanzia dell’appaltatore: eliminazione dei vizi
La presenza di difformità o vizi nell’opera eseguita dall’appaltatore, legittima il committente ad avvalersi di tre differenti rimedi, previsti dall’art. 1668 c.c.
In primo luogo, il committente può chiedere all’appaltatore che i vizi siano eliminati a sue spese.
Si tratta, come si osserva in dottrina, di un rimedio perfettamente conforme alla natura dell’appalto.
Quanto alle modalità di eliminazione, queste dovranno rispecchiare il dettato legislativo.
Così, il committente non potrà personalmente o a mezzo terzi da lui incaricati provvedere alla eliminazione di detti vizi, ma potrà solamente attivarsi, nei confronti dell’appaltatore, affinchè costui intervenga e, nel caso in cui l’appaltatore non vi provveda volontariamente, dovrà chiederne la condanna all’esatto adempimento, azionabile, poi, ex art. 2931 c.c. e 612 e ss. c.p.c., qualora egli non ottemperi (Cass. 4.8.88, n.4839; Cass.27.2.88, n.2073, GC, 1988, I, 1482; Cass.7.10.83, n.1016; Cass.29.5.80, n.3542).
Della necessità ed obbligatorietà di tale procedura vi è conferma anche in dottrina.
Si afferma così che:
<< … se l’appaltatore si rifiuta l’appaltatore deve allora seguire tutta l’ordinaria trafila giudiziale necessaria per arrivare all’esecuzione forzata in forma specifica degli obblighi di fare, cioè a mezzo di un terzo (cosidetta esecuzione in danno).
In questa seconda ipotesi, infatti, la frase <<a spese dell’appaltatore>> è perfettamente uguale a quella <<a spese dell’obbligato>>, adoperata dall’art. 2931 c.c.
Questa testuale conferma legislativa dell’ordinario procedimento si giustifica anche sotto il profilo sostanziale della valutazione degli interessi in conflitto: se infatti il committente ha un diritto alla riparazione, è anche giusto che cominci col lasciare all’appaltare la possibilità di provvedervi da sè, perchè quest’ultimo può avervi un legittimo interesse onde evitare le maggiori spese che per solito derivano dall’intervento di un terzo.
Ed è vero che non bisogna preoccuparsi troppo dell’interesse di un inadempiente; ma, in tal modo, neanche si sacrifica l’interesse del creditore, che nulla perde nella sostanza, in quanto si tratta non di sottrargli la possibilit di far compiere i lavori da un terzo con conseguente rimborso, ma solo di spostare ciò ad una successiva fase processuale, cioè a quella dell’esecuzione forzata, quando l’appaltatore si sarà rifiutato di eseguire volontariamente la sentenza di condanna..
E’ anche giusto, infatti, che il debitore, prima di prendere la sua decisione definitiva, sappia con sicurezza di essere ancora debitore, cioè che sia posto di fronte ad una sentenza di condanna. sarebbe quindi parimenti inesatto pensare che l’eventuale interesse dell’appaltatore ad un’esecuzione diretta meriti tutela solo nella fase stragiudiziale, ma non più dal momento della citazione nel processo di cognizione.>> (Rubino – Iudica, Appalto 1655 – 1677, Zanichelli, 1 992, 378)
L’inciso a spese va, perciò, interpretato nel senso che nell’eliminazione delle difformità e dei vizi, l’appaltatore ha il diritto e l’obbligo di provvedervi egli stesso, senza ulteriore compenso.
Diversamente, qualora vi provveda volontariamente lo stesso committente, senza previa condanna, questi non avrà il diritto ad alcun compenso.
Quindi,
<<se le parti non si accordano in fase stragiudiziale, il committente ha l’onere di rivolgersi al giudice fin dall’inizio.
Se invece comincia col far compiere stragiudizialmente i lavori da un terzo, non può poi chiedere al giudice che riconosca ciò come una esecuzione ex art. 1688 c.c. in esame ormai avvenuta, e che si limiti a condannare l’appaltatore al pagamento delle relative spese.
In tal caso, la riparazione ha ormai avuto luogo per conto del committente, sicchè lo ha fatto decadere dal diritto di ottenerla poi a spese dell’appaltatore, e più non rimane che la riduzione del prezzo>> (Rubino – Iudica, Appalto 1655 – 1677, Zanichelli, 1 992, 378)
Dal principio appena esposto deriva, come ulteriore conseguenza, che il committente non è tenuto ad adempiere alle sue obbligazioni se non dopo l’ effettiva esecuzione dei lavori volti ad eliminare i vizi dell’opera.
Con ciò, quindi, il committente può avvalersi dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (in giurisprudenza si veda Cass.3.12.81, n.6406; Cass.8.5.81, n.3006).
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