Cos’è la prova del danno
La prova dell’effettiva esistenza del danno e della sua entità deve essere fornita dal danneggiato (Cass.19.3.80, n.1837; Cass.17.3.81, n.1531; Cass.11.2.82, n.103), il quale deve produrre tutti gli elementi necessari onde potersi determinare la reale sussistenza del danno ed il suo ammontare. La parte, quando non si limita a chiedere la <<condanna generica>> al risarcimento del danno (e, cioe’, una pronuncia di accertamento della potenzialita’ dannosa di un determinato illecito), ma chieda anche la condanna alla corresponsione di quanto occorra a risarcirlo, <<non e’ esonerata dal fornire la prova dell’esistenza di un danno concreto e del suo ammontare, salva la liquidazione equitativa, ove ne sussistano i presupposti>> (Cass. 10.7.96, n.6262, MGC, 1996, 965).
Per assolvere all’indicato onere probatorio il danneggiato è quindi tenuto a dimostrare gli elementi costitutivi del danno sofferto, sia per quanto attiene agli eventi lesivi sia per quanto riguarda gli effetti economici. Il danneggiato che fa valere il diritto al risarcimento del danno assume infatti a fondamento del suo diritto la perdita economica di cui pretende il risarcimento, e di tale perdita deve dare la dimostrazione. Così, il compratore che ad es., agisce per il risarcimento del danno rappresentato dal vizio della merce, deve provare non solamente il vizio della merce, ma anche il valore della stessa e l’incidenza del vizio su tale valore.
Oltre agli elementi costitutivi del danno, il danneggiato deve provare anche l’ entità dei fattori riduttivi normali, cioè delle poste normalmente incidenti sulla determinazione del danno.
Così trattandosi ad es. del danno per mancato guadagno da risoluzione del contratto, è onere del danneggiato provare l’entità delle spese risparmiate, di cui occorre tenere conto al fine di determinare il guadagno netto venuto meno. E’ invece a carico del danneggiante la prova dei fatti riduttivi eventuali (es. la parte non inadempiente ha rimpiazzato il contratto risolto con un altro contratto a condizioni più favorevoli). A tale fine possono essere utilizzati tutti i mezzi di prova ammessi dall’ordinamento, comprese le presunzioni semplici ex art. 2727 e 2729 c.c. (Cass.29.5.90, n.5045; Cass.18.10.84, n.5259). In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, se la liquidazione viene effettuata per equivalente e cioe’ con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, espresso poi in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva, e’ dovuto al danneggiato anche il danno da ritardo e cioe’ il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento di detta somma, che deve essere provato dal creditore.
Tale prova puo’ essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi e quindi anche mediante l’attribuzione degli interessi ad un tasso stabilito, valutando tutte le circostanze obbiettive e soggettive inerenti alla prova del pregiudizio subito per il mancato godimento nel tempo del bene e del suo equivalente in denaro. E se il giudice adotta come criterio di risarcimento del danno da ritardato adempimento quello degli interessi fissandone il tasso, mentre e’ escluso che gli interessi possano essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per il capitale rivalutato definitivamente, e’ consentito invece calcolare gli interessi con riferimento ai singoli momenti, da determinarsi in concreto secondo le circostanze del caso, con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria ovvero ad un indice medio (Cass. 17.1.96, n. 339, MGC, 1996, 68). Il criterio presuntivo è quello che viene applicato anche in riferimento ai danni conseguenti da ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie.
Un esempio è costituto da una pronuncia della Cassazione dell’88, dove si afferma che il danno subito dai creditori per la ritardata corresponsione di prestazioni pecuniarie previdenziali e’ risarcibile non in base all’art. 429, 3° co. c.p.c. – che prevede per i crediti di lavoro un risarcimento automatico sulla sola base del diminuito potere di acquisto della moneta – ma ai sensi dell’ art. 1224, 2° co., c.c., salva, peraltro, un’attenuazione dell’onere probatorio del creditore per l’utilizzabilita’ della presunzione costituita dal notorio e dalla natura e ridotta entita’ del credito in relazione alle qualita’ personali (modesto impiegato, pensionato) del creditore stesso. Ne consegue, pertanto, che per la risarcibilita’ del danno derivante dalla svalutazione monetaria, ricorrendo i predetti elementi presuntivi di natura oggettiva e soggettiva ed in mancanza di altri elementi idonei a dimostrare l’effettiva esistenza del dedotto pregiudizio, non e’ necessaria ne’ la prova di come sarebbero state in concreto impiegate le somme tempestivamente riscosse ne’ la prova delle condizioni patrimoniali del creditore (Cass. 5.10.88 n. 5370).
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