Mediazione e distribuzione commerciale
Anche la mediazione, come l’ agenzia, ancor prima che fenomeno giuridico si è imposto quale fenomeno della distribuzione commerciale.
Si tratta sicuramente di un contratto che ha ottenuto minore applicazione nella pratica commerciale, soprattutto contemporanea, rispetto all’agenzia, anche se ultimamente è stato rivalutato sotto le mutate sembianze del c.d. broker di assicurazioni.
Diversamente dall’agenzia le sue origini sono lontane nel tempo e risalgono addirittura all’epoca romana dove la mediazione già esisteva e veniva praticata, pur costituendo un’attività che non godeva di alcuna considerazione sociale, stante il netto sfavore da parte del sistema politico ed economico romano, costruito sulla proprietà fondiaria e sull’agricoltura, per tutte le attività commerciali e ad esse accessorie.
Essa divenne uno strumento essenziale per lo svolgimento del commercio quando si rivelava necessario collegare uomini e mercati soprattutto in epoche dove la struttura del mercato era ancora in fase di formazione.
Il commercio tra piazze lontane e tra persone che parlavano lingue diverse impose la necessaria presenza del mediatore, che al tempo stesso esercitava la duplice funzione di traduttore e intermediario nella circolazione dei beni.
Le prime forme di intermediazione si svolgevano principalmente nell’ambiente privato e familiare.
I primi mediatori erano intermediari di matrimoni o compositori di dissidi tra amici.
E’ con lo svilupparsi dei commerci e con l’ampliarsi dell’impero che la categoria dei mediatori assunse una propria identità, intervenendo direttamente nel campo economico.
L’attività del proxeneta, mediator o sensalis contribuì certamente allo sviluppo del commercio fra piazze diverse, tra paesi lontani e tra soggetti di lingua diversa.
La conoscenza che i mediatori avevano degli usi e delle esigenze locali come anche la possibilità di servire da interpreti permetteva infatti l’estensione e l’incremento del commercio al di là dei confini nazionali.
Circa l’ordinamento della mediazione nel diritto romano ben poco si sa.
Comunque è certo che il mediatore poteva entrare in ogni forma di commercio lecito ed aveva diritto di farsi versare un compenso (sic tamen, ut in his modus esse debeat et quantitatis et negotii in quo operula ista defuncti sunt, D.50, 14, 3), per conseguire il quale vantava un’azione extra ordinem.
Egli non poteva essere convenuto per l’esecuzione dell’incarico affidatogli nè con l’ actio mandati, nè con l’ actio ex locato conducto, ma poteva essere aggredito con l’ actio doli qualora avesse raggirato una delle parti.
Il mediatore ed il rapporto di mediazione assunsero, però, sempre maggiore importanza finchè nei secoli XIII e XIV svolsero un ruolo centrale ed essenziale per la conclusione degli affari e nella circolazione dei beni.
Quasi tutti gli Statuiti delle città si occuparono largamente di tale figura.
La professione del mediatore di commercio venne disciplinata dagli Statuti di Genova, Pisa, Venezia, Bologna, Lucca, Siena e di altre città dove il commercio era molto fiorente, i quali conferirono alla categoria la qualifica di pubblici ufficiali.
Solo un numero limitato di persone furono ammesse ad esercitare la professione, con speciali requisiti di età, cultura, cittadinanza e residenza.
Insieme ai vantaggi i mediatori ebbero anche numerosi obblighi, fra i quali quelli di non esercitare il commercio in proprio, di registrare subito le operazioni eseguite, di dare una caparra per assicurare l’irrevocabilità del contratto.
Il riconoscimento da parte della stessa corporazione importò, poi, il divieto a chi non era iscritto di esercitare la mediazione; quelli iscritti avevano, così, il vantaggio di esercitare la professione in un regime di monopolio.
Il sensale, che era tenuto a prestare giuramento ed a versare una cauzione, era una persona nominata il più delle volte dalla stessa corporazione che disciplinava le attività di coloro che avrebbero fruito dei servizi del mediatore.
La regola era che il mediatore dovesse esercitare l’attività mediatoria in via esclusiva, sussistendo in molti casi l’obbligo di stipulare contratti solo per mezzo dei mediatori distinti per settore merceologico.
Il diritto al compenso era predeterminato da tabelle ufficiali ed era posto a carico di entrambi i contraenti in parti eguali.
Lo sviluppo dei traffici oltre i tradizionali confini determinò una moltiplicazione dei mediatori che, assieme agli agenti ed agli altri collaboratori commerciali, contribuirono decisamente alla formazione dei circuiti commerciali ed allo sviluppo dei traffici secondo gli schemi imposti dalle forme di esercizio del commercio nei secoli XVI, XVII e XVIII.
Per reagire agli abusi che accompagnarono il regime di monopolio della professione, le legislazioni moderne hanno accolto il principio della libertà della mediazione, con alcuni temperamenti in ordine a determinate contrattazioni, come quelle delle borse.
Questo principio, già inerente al sistema del codice di commercio del 1865, è stato espressamente ribadito dall’art. 26, 1° co., del regolamento per l’esecuzione del codice di commercio del 1882, nonchè riaffermato dall’art. 21 della l. 20.3.1913, n. 272, sull’ordinamento delle borse.
Per quanto riguarda la disciplina dell’istituto, mentre il codice del 1865, nel libro I, cap. II, tit. III, comprendeva, in un’unica disciplina, tanto le norme riguardanti il rapporto di mediazione quanto quelle concernenti i mediatori, i loro diritti ed obblighi e le relative sanzioni nel caso di inosservanza, il codice del 1882, invece, riproduceva negli articoli dal 29 al 35 le norme disciplinanti i rapporti di diritto privato derivanti dall’interposizione dei mediatori nei contratti commerciali, lasciando alle leggi speciali la disciplina della mediazione pubblica.
Disciplina dell’istituto che ha infine trovato piena attuazione nel codice civile del 1942.
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