Cos’è l’affitto
L’affitto rappresenta una modalità di godimento di un bene a fronte di un corrispettivo riconosciuto al concedente.
Evidenti, quindi, le analogie con la locazione.
E come per quest’ultima le ipotesi di responsabilità in tale ambito contrattuale si riconnettono, sostanzialmente, all’inosservanza degli obblighi incombenti sul concedente (proprietario) quali quello della consegna del bene ed agli obblighi dell’affittuario in ordine alla gestione e detenzione del bene.
Qui di seguito una disamina dei caratteri più salienti di tale tipologia contrattuale.
1.Nozione di affitto.
La nozione di affitto si ricava dalla combinazione della definizione della locazione di cui all’art. 1571 c.c., secondo il quale la locazione è il contratto con cui <<una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo>>, con quanto disposto dall’articolo 1615 c.c., il quale dispone che <<quando la locazione ha per oggetto il godimento di una cosa produttiva, mobile o immobile, l’affittuario deve curarne la gestione in conformità della destinazione economica della cosa e dell’interesse della produzione. A lui spettano i frutti e le altre utilità della cosa>>.
L’affitto, dunque, è un sottotipo della locazione, della quale ne riprende, sotto un profilo sostanziale, le caratteristiche anche sotto il profilo delle obbligazioni da esso scaturenti.
Oggetto dell’affitto è la produttività della cosa con ciò intendendosi ogni bene idoneo a produrre altri beni (1).
Nozione, questa, estendibile, secondo quanto rilevato da altra dottrina, ai quei beni le cui potenzialità siano esprimibili attraverso l’intervento dell’uomo (2).
Deve dunque trattarsi di beni strumentali ad un’attività produttiva umana, anche solo potenzialmente, risultando irrilevante l’attuale improduttività della cosa al momento della conclusione del contratto se questa è suscettibile poi di cessare in conseguenza della gestione cui si obbliga l’affittuario.
Oggetto di affitto possono quindi essere anche beni fino ad allora non utilizzati purchè capaci di essere supporto del lavoro o dell’attività imprenditoriale dell’utilizzatore.
L’art. 1615 c.c. contempla espressamente cose mobili e immobili.
Conseguentemente oltre ad un fondo rustico e ad un’azienda, può essere affittato ogni tipo di macchina, impianto.
2.Gli obblighi delle parti. Il locatore
In linea di principio il locatore nell’affitto è assoggettato agli obblighi che gravano su ogni locatore ai sensi delle disposizioni generali sulla locazione.
Principale obbligo del locatore nell’affitto è dunque quello di consegnare la cosa con i suoi accessori e le sue pertinenze <<in stato da servire all’uso e alla produzione>> (art. 1617 c.c.).
Si tratta di una norma che costituisce applicazione dell’analoga disposizione di cui all’art. 1575, n. 1, c.c. e tende a garantire che l’affittuario possa subito, all’inizio del rapporto, trovare la cosa in condizioni di efficienza e attrezzata per l’attività produttiva.
Essenziale si rivela che la cosa presenti quel minimo di caratteristiche e qualità che sono necessarie ad una sua immediata utilizzazione da parte del conduttore, senza che rilevi che l’affittuario abbia consentito a ricevere la cosa in condizioni da non poter servire all’impiego produttivo ma solo ad un’utilizzazione generica nel qual caso degraderebbe a locazione in senso stretto (3).
Il locatore è altresì tenuto ad eseguire a sue spese, durante l’affitto, le riparazioni straordinarie mentre le restanti sono a carico dell’affittuario.
Ricadono in tale tipologia tutte quelle riparazioni di entità tale che alterino o impediscano sostanzialmente il godimento del bene.
In altri termini si tratta di quelle riparazioni che sostanzialmente ineriscono all’aspetto strutturale del bene con conseguente impossibilità dell’affittuario di un pacifico godimento dello stesso.
Rimangono invece a carico dell’affittuario quelle riparazioni di minore entità volte a conservare la cosa in buono stato di manutenzione, nonché quelle di notevole entità dirette a recuperare le utilità andate perdute per cause connesse all’uso e godimento della stessa. In tal modo, sono a carico dell’affittuario le riparazioni all’intonaco, l’imbiancatura delle pareti, la riverniciatura di porte e finestre.
Al riguardo chiarificatore si rivela una recente pronuncia della S.C. la quale ha precisato che per spese straordinarie, facenti carico al locatore, devono intendersi le opere che non si rendono prevedibilmente o normalmente necessarie in dipendenza del godimento normale della cosa nell’ambito dell’ordinaria durata del rapporto locatizio e che presentano un costo sproporzionato rispetto al corrispettivo della locazione, rientrando nella categoria anche le opere di manutenzione di notevole entita’, finalizzate non gia’ alla mera conservazione del bene, ma ad evitarne il degrado edilizio e caratterizzate dalla natura particolarmente onerosa dell’intervento manutentivo (4)
2.1. L’affittuario
Se diritto dell’ affittuario è indubbiamente quello di godere della cosa locata (art. 1615 c.c.), a fronte di esso sussiste, in capo al medesimo, il parallelo obbligo di curarne la gestione in conformità della sua destinazione economica e dell’interesse della produzione, e tale obbligo è altrettanto intenso quanto il diritto di godere (anzi, secondo qualche autore sarebbe addirittura più intenso rispetto al diritto di godimento).
Anzi, l’obbligo di curare la gestione caratterizza particolarmente l’istituto, tanto che qualcuno ha detto che ne costituisce l’elemento qualificante della figura e fornisce la chiave di lettura di tutta la disciplina dell’affitto.
Tale obbligo non è posto solo nell’interesse privato dell’affittante, ma ha anche un carattere pubblico, perché deve essere svolto nel superiore interesse della produzione nazionale (ciò che è espressamente previsto dall’art. 1615 c.c.).
Trattandosi di beni produttivi l’interesse pubblico è quello di vedere utilizzati tali beni per accrescere la ricchezza del paese.
Altro obbligo dell’affittuario è quello di pagare il corrispettivo convenuto oltre quello, a differenza della locazione, di non subaffittare la cosa, a meno che non vi sia il consenso del locatore (art. 1624 c.c.).
Divieto, questo, che conferma il carattere intuitu personae del contratto di affitto. Ai sensi dell’art. 1624 c.c. la facoltà di cedere l’affitto comprende quella di subaffittare, mentre la facoltà di subaffittare non comprende quella di cedere l’affitto
3.L’inadempimento dell’affittuario
L’art. 1618 c.c. prevede che il locatore può chiedere la risoluzione del contratto, se l’affittuario non destina al servizio della cosa i mezzi necessari per la gestione di essa, se non osserva le regole della buona tecnica, ovvero se muta stabilmente la destinazione economica della cosa.
Si tratta di una norma non esaustiva delle ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’affittuario e che comunque, in applicazione del principi generali (art. 1455 c.c.), non legittima una risoluzione laddove l’inadempimento del conduttore abbia scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del locatore.
Poiché peraltro, come detto, il contratto di affitto è dominato altresì da un interesse superiore (quello nazionale della produzione), si è da alcuni sostenuto che, pur quando l’inadempimento ad uno degli obblighi posti dall’art. 1618 c.c., fosse di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., avuto riguardo all’interesse del locatore, potrebbe ugualmente farsi luogo alla risoluzione in vista del pregiudizio all’interesse della produzione (5).
Quanto all’obbligo di destinare i mezzi necessari per la gestione produttiva della cosa, si tratta di un obbligo a contenuto variabile a seconda della natura della cosa e dell’attività produttiva prevista e può comprendere l’impiego di capitali, l’assunzione di mano d’opera, la destinazione di beni strumentali.
Conseguentemente l’entità e le caratteristiche di tale obbligo vanno determinate caso per caso secondo le pattuizioni (6).
Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche con riferimento all’obbligo di osservare le regole di buona tecnica da valutarsi caso per caso ma comunque richiedenti una condotta contraddistinta da una diligenza qualificata.
Quanto, infine, all’obbligo di non mutare la destinazione economica del bene oggetto di affitto si tratta di un obbligo connaturale al contratto di affitto ed insito nella sua stessa struttura.
4.L’affitto di fondi rustici
Il contratto di affitto di un fondo rustico è un contratto con il quale una parte, detta concedente, si obbliga a far godere all’altra parte, affittuaria, un determinato terreno per un certo periodo e per un determinato corrispettivo per lo svolgimento di attività agricola (Legge 3 maggio 1982, n. 203).
Il canone può consistere in denaro, in una quota dei frutti o in una prestazione in natura. Il contratto d’affitto può essere scritto o verbale ed in ambedue le fattispecie deve essere registrato.
I contratti di affitto stipulati dopo il 3 maggio 1982 hanno la durata di 15 anni, anche nel caso di affitto a non coltivatore diretto.
La durata è di 6 anni, invece, in caso di affitto particellare in terreni montani e in caso di terreni montani destinati ad alpeggio in cui sono compresi alloggi per personale e strutture ricovero bestiame.
Le parti possono firmare “accordi in deroga” con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole.
In mancanza di disdetta di una delle parti, il contratto di affitto si intende tacitamente rinnovato per il periodo minimo, rispettivamente, di quindici anni per l’affitto ordinario e di sei anni per l’affitto particellare, e così di seguito.
La disdetta deve essere comunicata almeno un anno prima della scadenza del contratto, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
L’affittuario deve impegnarsi a tenere e coltivare il terreno secondo le regole del buon padre di famiglia, in particolare seguendo le norme di tecnica agraria più opportune per quanto concerne le rotazioni, le concimazioni ed i lavori agricoli.
Il concedente si riserva di esaminare personalmente o attraverso persona di sua fiducia che l’affittuaria osservi tutti gli obblighi che gli incombono.
L’affittuario si obbliga ad eseguire a sue spese tutte le riparazioni ordinarie, mentre il concedente si obbliga ad eseguire le riparazioni straordinarie sempre che queste non siano attribuibili a colpa o negligenza del conduttore.
È facoltà dell’affittuario recedere dal contratto, ma deve comunicarlo al concedente mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o con mezzo equipollente almeno un anno prima della scadenza dell’annata agraria.
La risoluzione del contratto di affitto può essere invece fatta valere dal concedente nel caso in cui l’affittuario si sia reso colpevole di grave inadempienza contrattuale inerente la normale e razionale coltivazione del fondo, la conservazione e manutenzione del fondo stesso e delle relative attrezzature, la instaurazione di rapporti di subaffitto e/o di subconcessione, il pagamento del canone.
Anche la unilaterale non autorizzata trasformazione del fondo da parte dell’affittuario può concretare un inadempimento che giustifica la risoluzione del rapporto agrario ai sensi dell’art. 5, comma terzo, della legge n. 203/82, quando modifichi l’originario assetto colturale del fondo, poichè la libertà di iniziativa, di organizzazione e di gestione attribuita all’affittuario dall’art. 10 l. 11 febbraio 1971, n. 11 e dall’art. 16 legge 203 del 1982 trova limite nell’obbligo di conservare la struttura funzionale e la destinazione economica del fondo voluta dal concedente, come è reso palese anche dall’art. 5 l. 203 del 1982, che espressamente ricollega il concetto di gravità dell’inadempimento alla conservazione del fondo (8).
In tale caso il proprietario, prima di potere esperire l’azione di risoluzione per inadempimento, ha l’onere di contestare per iscritto l’inadempimento all’affittuario, ai sensi dell’art. 5 l. n. 203 del 1982 e quindi – con separato atto – di invitarlo al tentativo di conciliazione, ai sensi dell’art. 46 legge citata (7).
Nell’ambito dei fondi rustici, troviamo due forme contrattuali: affitto a coltivatore diretto e affitto a non coltivatore diretto.
Quanto al primo è regolato dal codice civile e da alcune leggi speciali.
Il contratto deve avere una durata minima di quindici anni per consentire una migliore programmazione dell’attività produttiva. Questo limite temporale, però, vincola solo il proprietario, restando l’affittuario libero di recedere in qualsiasi momento dall’affitto purché ne dia avviso con lettera raccomandata almeno un anno prima della scadenza dell’annata agraria.
La legge poi, dispone un tacito rinnovo del contratto se nessuna delle parti comunichi la propria disdetta con lettera raccomandata almeno un anno prima della scadenza del contratto.
È previsto, inoltre, che il locatore che, alla scadenza del contratto di affitto, intende cedere in affitto il fondo a terzi deve comunicare all’affittuario le offerte ricevute almeno novanta giorni prima della scadenza.
L’affittuario ha diritto di prelazione, ha cioè diritto ad essere preferito se entro quarantacinque giorni dal ricevimento della comunicazione offre condizioni uguali a quelle comunicategli dal locatore.
Per quanto riguarda il canone di affitto l’art. 9 della L. 203/1982 stabiliva un criterio che faceva riferimento al reddito dominicale moltiplicato per determinati coefficienti stabiliti dalle commissioni tecniche istituite presso l’ispettorato agrario provinciale. Tuttavia la Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità di tale norma poiché i dati catastali non sono idonei a rappresentare le caratteristiche dei terreni. Nel vuoto legislativo la soluzione apparsa preferibile è stata quella di attenersi ai criteri fissati da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni professionali agricole.
L’affitto a non coltivatore diretto è regolato da norme analoghe, con la differenza che il canone che egli deve pagare è maggiorato rispetto a quello stabilito dalla legge per il coltivatore diretto.
Inoltre mentre per l’affitto a non coltivatore è richiesta la forma scritta, l’affitto al coltivatore diretto è valido anche se concluso verbalmente.
5.L’affitto di azienda
Il contratto di affitto d’azienda è disciplinato dall’art. 2561 c.c. il quale, pur regolando l’usufrutto di azienda, si applica anche all’ipotesi di affitto in conseguenza del richiamo ad esso effettuato dall’art. 2562 c.c.
Con il contratto di affitto di azienda il concedente, proprietario del bene, attribuisce l’intera gestione dell’azienda di cui è proprietario ad un soggetto terzo, affittuario, il quale, in conseguenza di ciò, si obbliga a “gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte” (artt. 2561, 2562 c.c.).
Ai sensi di tali norme, quindi, l’affittuario, al fine di garantire la conservazione dell’efficienza del ‘sistema’ aziendale, subentra nella pienezza dei rapporti facenti capo al concedente ed acquisisce prerogative di godimento e di disposizione sostanzialmente equivalenti a quelle del proprietario
Oggetto del contratto di affitto è una azienda, considerata come il complesso unitario di tutti i beni mobili e immobili, materiali e immateriali concessi in godimento, in quanto organizzati unitariamente per la produzione di beni e servizi.
Perché si abbia affitto d’azienda non necessariamente occorrono tutti gli elementi che normalmente la costituiscono, ben potendo alcuni di essi – specie quelli immateriali, quale l’avviamento – mancare oppure non essere funzionanti al momento del sorgere del contratto purché il loro difetto non comprometta l’unità economica del complesso affittato e la sua potenzialità produttiva.
5.1. Gli obblighi delle parti
La conclusione di un contratto d’affitto d’azienda impone degli obblighi sia in capo al concedente sia in capo all’affittuario.
Quanto al concedente gli obblighi possono essere fondamentalmente individuati nella consegna dell’azienda all’affittuario secondo le caratteristiche pattuite nel contratto d’affitto in modo che essa possa servire all’uso ed alla produzione a cui è destinata (art. 1617 c.c.) e nel divieto di concorrenza per tutta la durata dell’affitto (art. 2557, co. 4 c.c.).
Relativamente all’affittuario gli obblighi sono previsti nell’art. 2561, co. 1 e 2 c.c.
Ai sensi dell’art. 2561, co. 1 c.c., l’affittuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue, onde evitare il depauperamento dell’avviamento commerciale dell’azienda e, di conseguenza, un danno nei confronti del nudo proprietario.
Ai sensi del comma 2 sempre dell’art. 2561 c.c. l’affittuario deve poi gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficacia dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorta.
In altri termini l’affittuario deve quindi gestire l’azienda nella prospettiva di tutelare l’interesse del nudo proprietario a non vedere ridotta l’efficienza del complesso aziendale.
Il mancato adempimento a tali obblighi porta l’insorgere di una conseguente responsabilità dell’affittuario con conseguente facoltà del concedente di ricorrere ai tradizionali strumenti di tutela della propria posizione.
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1.Santoro Passarelli F., Dottrine generali del diritto civile, Jovene, Napoli, 1964, 602.
2.Fragali M., Affitto in generale, in ED, I, Giuffrè editore, Milano, 1958, 734
3.Così Guarino A., Locazione, in Tratt.dir.civ. diretto da Grosso e Santoro Passarelli, Vallardi, Milano, 1965, 53 e ss.
4. Cass.10 dicembre 2013, n. 27540.
5.Romagnoli E., Affitto, disposizioni generali (art. 1615 – 1627), in Comm. Cod. Civi. A cura di Scialoja Branca, Zanichelli, BoLOGNA – Roma, 1978, 153
6.Mirabelli G., La locazione, in Tratt. Vassalli, Utet, Torino, 1972, 525
7.Cass. 25-03-1998, n. 2983
8. Cass., 08-01-1999, n. 106
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