Come si distingue l’agente di commercio dal propagandista scientifico




Il tema della distinzione tra agente di commercio ed agente propagandista scientifico è sempre attuale.

Si tratta di due figure di intermediari distributivi che trovano la propria genesi in aspetti strutturali diversi, connotazione della diversa finalità sottesa alle attività svolte da ciascuno di tali ausiliari del commercio.

Mentre l’agente di commercio vede la propria attività finalizzata al promuovere la conclusione di contratti, il propagandista scientifico si risolve nel fornire al destinatario (medico) l’informazione relativa a determinati prodotti medicali.

Un’interessante pronuncia al riguardo è quella del Tribunale di Marsala (24.2.2017), qui di seguito riportata per il punto oggetto del presente post, la quale si segnala per la puntuale ricostruzione delle indicate tipologie di rapporto tra loro diverse.

      

“(…) giova innanzitutto verificare se i rapporti di lavoro intrattenuti dagli informatori scientifici del farmaco (di seguito ISF) con le case farmaceutiche, ed in particolare per quello per cui è causa, siano ontologicamente o legalmente compatibili con la causa tipica del contratto di agenzia. La giurisprudenza di merito e di legittimità si è sovente confrontata con la questione, in quanto chiamata, come nel caso in esame, a individuare la sussumibilità del rapporto nell’alveo del lavoro autonomo o subordinato. A prescindere dalle diverse conclusioni cui di volta in volta i giudici sono pervenuti con riguardo alla qualificazione del rapporto, valutata caso per caso, in concreto, alla luce delle modalità esecutive della prestazione, ciò che comunque può individuarsi come un approdo largamente condiviso è quello secondo cui, nonostante il nomen iuris utilizzato dalle parti, e dunque anche in presenza di un contratto qualificato come di agenzia, il contenuto della prestazione dell’informatore scientifico del farmaco, in se stessa, non può essere ricondotta alla causa tipica di tale contratto, ossia quella in forza della quale “una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”. Infatti, l’attività della figura professionale dell’ISF (che venga svolta sia in via autonoma che subordinata) consiste nell’informare i medici (talora anche i farmacisti) delle caratteristiche scientifiche dei farmaci e dunque, nel particolare settore qui di interesse, nel persuadere, sulla base delle informazioni scientifiche fornite, i medici dell’opportunità della prescrizione di quel determinato prodotto farmaceutico; è normalmente esclusa da tale attività (ed è pacifico che comunque lo sia stata nel caso che qui ci occupa) la conclusione di contratti. Oggi, la figura e l’attività dell’informatore scientifico, a seguito dell’emanazione di una serie di direttive che hanno riguardato l’omogeneizzazione delle disposizioni di legge in materia di informazione scientifica, operanti nei singoli paesi componenti la Comunità (in particolare, si segnala la Direttiva n. 92/28 CEE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 30 dicembre 1992 n. 541), è regolata dal Decreto 24 aprile 2006 n. 219 . Alla stregua di tale dato normativo può certamente affermarsi che la figura dell’Informatore scientifico si inserisce a pieno titolo nel più ampio contesto dell’attività pubblicitaria dei medicinali presso gli operatori sanitari, in particolare i medici ed i farmacisti (artt. 118 e ss.), intendendosi per tale “Qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di esortazione, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali”, attività demandata per l’appunto agli informatori scientifici (Art. 122). Nel corso della fase sommaria del presente giudizio, si era invero ritenuto che anche tale attività, latu sensu pubblicitaria, svolta dagli ISF, siccome indirettamente funzionale alla maggior diffusione commerciale dei prodotti farmaceutici dell’azienda, tramite una migliore informazione scientifica dei medici che, per tale verso, sarebbero potuti essere indotti alla prescrizione dei ridetti farmaci, potesse essere sussunta nello schema tipico del contratto di agenzia. Tuttavia, alla luce di una più attenta rilettura della disciplina legale e del concreto atteggiarsi del rapporto de quo, valutato anche alla luce della compiuta istruzione, oltre che degli approdi della giurisprudenza formatasi sul punto, tale convinzione deve essere radicalmente rivista. Sussiste, infatti, una fondamentale ed innegabile differenza tra la prestazione richiesta all’ISF e quella, invece, pretesa dall’agente; al primo è richiesto di porre in essere un’attività di propaganda del farmaco, fondata sulla miglior divulgazione di dati scientifici ad esso relativi, diretta a convincere e stimolare i medici alla loro prescrizione, senza che a tale attività (di regola) si accompagni la ricezione di ordini e, dunque, la conclusione di contratti; l’ISF deve dunque, per definizione, porre a disposizione dell’azienda farmaceutica, le proprie energie lavorative, ora in forma subordinata, ora come professionista autonomo, senza assumere un’obbligazione di risultato, ossia senza che, ai fini della valutazione del proprio adempimento, ovvero ai fini della commisurazione della sua retribuzione, assuma rilevanza il numero di contratti conclusi, proprio in quanto tale attività non è dedotta in contratto. La circostanza, notoria e si direbbe ovvia, che tale attività di divulgazione scientifica venga assunta in carico dalle azienda farmaceutiche, al di là di ogni obbligo di legge, al fine di promuovere la maggior diffusione commerciale dei proprio prodotti, non vale certamente a mutare l’oggetto della prestazione dell’ISF e la causa oggettiva del suo contratto, restando ad essa estranea la menzionata finalità. L’agente, invece, nell’ambito di un’obbligazione non di mezzi ma di risultato, deve altresì pervenire alla promozione della conclusione dei contratti, essendo a questi direttamente connesso e commisurato il proprio compenso. Sulla base di tali considerazioni, sia la giurisprudenza di merito che di legittimità ha ripetutamente sottolineato che “l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, ma deve consistere nell’attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente. Pertanto, quando l’ausiliare di un’impresa farmaceutica si limita a propagandare il prodotto presso i medici, e quindi a promuovere solo indirettamente gli affari del preponente, tale ausiliare non è un agente ma un propagandista scientifico, la cui attività può formare oggetto di lavoro subordinato od autonomo o talora può aggiungersi a quella di agente, quando questi curi anche la stipulazione dei singoli contratti”. Spiega ancora la Suprema Corte: “…mentre l’attività del semplice propagandista consiste nel persuadere la potenziale clientela dell’opportunità dell’acquisto, informandola dell’esistenza del prodotto ed illustrandone le caratteristiche merceologiche e commerciali, l’attività dell’agente deve altresì pervenire alla promozione della conclusione dei contratti, sì da poter fondare la propria retribuzione sui singoli contratti conclusi per conto del preponente (art. 1742 cod. civ.). In altre parole, il lavoro dell’agente, qualificabile come lavoro autonomo, si caratterizza essenzialmente in ciò, che la retribuzione è data dalle provvigioni, ossia da somme di denaro proporzionate ai singoli contratti promossi dall’agente ed al loro valore economico. Può anche avvenire che la provvigione sia predeterminata in misura fissa o forfettaria, ma anche in tale eccezionale ipotesi essa è riferita agli affari promossi dal singolo agente….La prestazione del propagandista, per contro, è caratterizzata da un’attività che egli deve svolgere e la cui remunerazione non è connessa direttamente col risultato economico di quell’attività, posta in essere dal singolo lavoratore. Può così concludersi affermando che, mentre l’obbligazione assunta dal propagandista verso il datore di lavoro si definisce come obbligazione “di diligenza”, o “di mezzi”, nel senso che in essa il creditore nient’altro può legittimamente esigere se non il diligente comportamento del debitore, senza garanzia che si raggiunga un preciso risultato e ravvisandosi così in essa le caratteristiche del lavoro subordinato, l’obbligazione assunta dall’agente verso il preponente si qualifica come “di risultato”, in difetto del quale il debitore è oggettivamente inadempiente, assumendo da tale carattere la veste del lavoratore autonomo. In tal modo la forma della retribuzione non ha significato in sè in quanto si connette al contenuto dell’obbligazione, giacché la provvigione si lega all’obbligazione di risultato (lavoro autonomo) mentre il corrispettivo di diverso genere si collega all’obbligazione di mezzo (lavoro subordinato)” (così, Cass. 22 giugno 1999, n. 6355; nello stesso senso, Cass. 22 giugno 1990, n. 6291; Cass. 19.8.1992 n. 9676; Cass. sez. lavoro n. 19394/2014) (…) “.


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