Cosa accade in caso di rifiuto del test da parte del medico su feto nato down
La questione, approdata in Cassazione, è stata risolta dalla sentenza 19.7.2018, n. 19151 con l’affermazione di una responsabilità del medico e conseguente riconoscimento dei danni in capo ai genitori.
Ciò sulla scorta di un sillogismo giuridico che parte dalla premessa del riconosciuto diritto della madre al risarcimento per mancata interruzione della gravidanza qualora avesse avuto conoscenza della sorte del nascituro a seguito di tempestiva informazione sull’anomalia dal feto.
Principio, questo, già affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 26972/2008.
Si afferma così che : “Nella decisione impugnata si rileva la volontà abortiva è desumibile dalle insistenti richieste della gestante, all’epoca trentaseienne, di effettuare una diagnosi prenatale, rifiutate dal medico curante a causa del c.d. cerchiaggio praticato come terapia antiabortiva, e dalle statistiche sul ricorso a interruzione in caso di feti malformati che mostrano un’alta percentuale di richieste di interruzione della gravidanza in caso di preventiva conoscenza di malformazioni di tal tipo. Sul punto si richiama il principio reso a Sezioni Unite da questa Corte, in base al quale, in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, 5 Corte di Cassazione – copia non ufficiale gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale (v. SU Cass. 25767/2015; Sez. 3, Sentenza n. 24220 del 27/11/2015 ). Pertanto nel caso in esame non sussiste una violazione degli oneri probatori, soprattutto in relazione all’onere assolto in via presuntiva dalla madre (attraverso la prova di circostanze concrete da cui si può risalire per via induttiva a una volontà in tal senso), atteso che la pronuncia si inscrive proprio in tale ipotesi”.
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